mercoledì 11 giugno 2008

Disegni a china




Posted by Picasa

I tre doni

I TRE DONI

In quel paesino fra le montagne della Mongolia, dove la vita procedeva col suo ritmo blando, tre fratelli si ritrovarono per dare l’estremo saluto al padre che tanto aveva fatto per crescerli in modo onorevole, pur distratto dal quotidiano lavoro dei campi , che oggi sapeva regalarti il sostentamento mentre domani ti privava crudelmente dei suoi frutti.

Yong, Bruce e Yale erano i loro nomi , figli molto rispettosi del padre, anche se piccole e comuni gelosie li avevano portati a crescere in fretta ed abbandonare la casa paterna per seguire aneliti di vita solitaria e speranze di fare di più, di dimostrare il proprio valore, di rialzare la testa e abbandonare una vita semplice come quella che il padre aveva loro donato. Vecchie tuniche adornavano il loro corpo, sguardi assenti , provati, caratterizzavano il loro dolore lì , vicino al padre che li lasciava con quella dignità che lo aveva sempre contraddistinto. Un cappello a tese larghe nascondeva il viso di Yong, solcato da dignitose e silenziose lacrime. Le sue mani solcate dalla fatica tradivano la sua semplice condizione di vita, di lavoratore dei campi, così come il padre gli aveva insegnato e aveva voluto. Era stato il più vicino a lui nell’apprendere l’arte della coltivazione, con quel rispetto per ogni cosa che nasce e vive solo nelle anime più povere. Bruce, era invece andato via da casa da troppo tempo per lasciarsi sfuggire qualche lacrima , aveva scelto l’avventura che lo aveva confinato semplicemente nel paesino poco distante, dove costruiva monili d’oro , gli dava forma , colore, sperando di poter ricavare qualche moneta dai pochi passanti casuali. Yale era invece l’artista di famiglia , anch’esso andato via da casa per cercare nell’arte e nella contemplazione quello stato di indipendenza che veleggiava nei primi anni adolescenziali tra le povere case di quel paese. Viveva stentatamente e a volte i pochi quadri che si ostinava a fare non gli bastavano per vivere, costringendolo a lavorare la pelle nella bottega di un vecchio del paese per affrontare in modo dignitoso il rigido inverno.

Erano troppo diversi tra loro e forse il padre stesso , duro negli insegnamenti, ma dolce nell’affetto, aveva saputo solo creare dissapori mai guariti, gelosie cresciute lentamente , attimo per attimo.

Ora erano lì, davanti al padre addormentato, a parlare ognuno col proprio cuore, in silenzio, a rivisitare piccoli angoli bui mai illuminati in passato un po’ per mancanza di tempo , un po’ per quella pigrizia che ci evita dannosamente di affrontare problemi importanti.

Ma ora…ora sì, era tempo di parlare e forse era anche il loro desiderio inconscio perché i tre fratelli provarono, provarono e riprovarono,… ma la loro diversità riaffiorò prorompente. Così come in ogni antica favola decisero di salire la montagna dove un vecchio saggio guariva le persone malate , favola a cui non avevano mai creduto, ma come accade in queste situazioni era maggiore la volontà di ritrovarsi della diffidenza innata verso i fratelli. La montagna fu scalata dai tre , ogni orma seguiva l’altra senza cercare il suo fianco, ma nella lenta ascesa un leggero senso di pacato desiderio di cambiare affiorava sempre più. Come una nave cerca la rotta nei piccoli corridoi lasciati liberi dai ghiacci, i loro passi raggiunsero con fatica la cima. Guardarono intorno per trovare la conferma che la leggenda era solo una piccola favola raccontata ai bambini del luogo. Solo Yong parlava col padre ,ma per gli altri comunque l’idea che lui ci fosse rappresentava un segreto conforto. Ora non era più così , erano soli ed i rimorsi e le perplessità del passato confondevano i loro animi.

Non vedendo alcun essere vivente, stavano ormai per tornare quando sotto un grande albero notarono un vecchio che dormiva profondamente , emettendo un sibilo tanto fastidioso quanto chiaro nella serenità interiore che traspariva inaspettatamente.

I tre si avvicinarono , lo guardarono ma dopo un attimo prevalse la loro incrollabile rassegnazione e diffidenza e si girarono senza dire una parola per ritornare sui loro passi ed intraprendere il lungo viaggio di ritorno.

Il vecchio quando le loro spalle stavano già dileguandosi, aprì un occhio e con voce ferma disse loro: “Ragazzi , posso fare qualcosa per voi?”

I tre, più per lo stupore che per altro, si girarono e Yong rispose :

“Grazie,ma non abbiamo bisogno di nulla…” e proseguì i suoi passi.

Yale con la curiosità che ogni artista ha innata nell’animo, volle, invece, avvicinarsi ,seguito dal silenzioso Bruce e proferì timidamente “Stiamo cercando…il saggio…che vive qui”. Poi come se avesse osato troppo in quella sperata sciocchezza, girò le spalle e fece per raggiungere Yong che si era nel frattempo fermato ad aspettarli. La voce del vecchio ruppe il silenzio - :

“Sono sicuro che ,anche se non credo di essere molto saggio, posso fare qualcosa per voi , fermatevi a riposare e poi quando avrete ritrovato le forze, riprenderete il vostro cammino”.

I tre, che accusavano la fatica, vollero appoggiare le stanche membra vicino al vecchio facendo con la loro presenza un piccolo cerchio e così …parlarono, parlarono di loro , parlarono tra loro, di ciò che cercavano senza sapere cosa fosse , senza conoscere la strada da percorrere.

Alla fine il vecchio , vedendo sopraggiungere minacciose nuvole nere volle interrompere il disteso colloquio: “Ragazzi, io non sono un guaritore, sono solo un povero vecchio , ma voi siete sbandati perché non sapete ciò che state cercando, camminate senza una meta precisa , forse non serve camminare ed io posso fare qualcosa per voi, se lo vorrete”.

“Ci dica, maestro” disse uno dei tre fratelli, chiamandolo così più per rispetto dell’età avanzata che per altro.

“Venite a trovarmi tra una settimana e portatemi tre doni ed io vi potrò guarire “ – specificò il vecchio saggio.

I tre ringraziarono increduli e pur diffidando di lui si diedero comunque appuntamento la settimana seguente su quel monte.

E così fu. Arrivarono sette giorni dopo i tre fratelli e trovarono il saggio sotto l’albero , curiosamente nella stessa posizione confusa tra il riposo e la meditazione.

“Sono contento di vedervi” – disse il vecchio.

“Come mai?” - osò domandare uno di loro quasi seccato di essersi fatto convincere a risalire.

La risposta fu dolce ed immediata “Credo che abbiate fatto i primi passi per trovare la strada che inseguite, se siete qui …”. Ma la frase del vecchio fu interrotta da Yong : “Le abbiamo portato i doni che ci aveva chiesto , maestro, ma spero che dopo ci indichi la strada giusta”.

“Non essere diffidente , ragazzo, la strada dovrai trovarla tu, io ti posso solo aiutare a vedere meglio, il cammino è lungo, i passi sono i tuoi, io ti posso solo imprestare gli occhi”.

I tre posero i doni davanti al maestro, il primo era un grande cesto di frutta che rappresentava gran parte del raccolto di Yong, il secondo un monile dorato , plasmato con paziente maestria dalle esperte mani di Bruce. Infine una tela un po’ sgualcita ma magistralmente colorata dalla vena artistica di Yale.

“Ecco questi sono per lei, maestro, ora ci dica cosa dobbiamo fare” disse uno dei tre.

“Quello che voglio – disse il saggio – è che questi doni ve li scambiate , col cuore”.

Con una inaspettata ubbidienza i tre scambiarono i doni ed ognuno di loro aspettava nuove istruzioni,ma il silenzio si ruppe soltanto quando Yale disse : “.. e ora ?”.

Il saggio li guardò senza rispondere , profondamente, negli occhi. Poi uno di loro seccato per non aver ricevuto istruzioni illuminanti si lamentò del regalo ricevuto. Cosa poteva farsene Yong di un monile d’oro se era sempre chino a lavorare i campi. E Yale cosa poteva farsene di un cesto di frutta e tanto meno Bruce di una tela sgualcita.

Ma nessuno osò lamentarsi col vecchio. I tre lo salutarono ed il vecchio prima che i loro passi riprendessero il cammino per scendere la montagna li avvisò :

“Ragazzi, fate attenzione al percorso, ogni passo deve essere guidato dagli occhi perché qualche sasso potrebbe farvi inciampare così come siete inciampati ora , quassù, sulla vetta. Abbiate la bontà di ritornare e portatemi il bene più prezioso che avete ed io vi donerò la cosa più preziosa che ho” Disse questo, abbassò il capo ed in silenzio meditò.

I tre fratelli , non riuscivano a comprendere ,ma anche questa volta li guidò nelle loro azioni la ricerca dell’ignoto, la speranza, la voglia di trovare… la strada giusta.

Così nuovamente , la settimana seguente, salirono la montagna, ognuno portando con se il dono più prezioso che aveva. Raggiunsero la cima e trovato il vecchio saggio posarono davanti a lui nuovamente una cesta di frutta, un monile d’oro e una vecchia tela sgualcita.

“Vedete ragazzi , ora voi mi avete donato quello che più vi era caro, quello che per voi è fatica, passione, amore ed io porterò nel cuore questi doni perché il loro valore è determinato da chi dona e non da chi riceve.”

Un silenzio irreale costruì in ognuno di loro nascoste fondamenta di una nuova famiglia.

Poi il saggio aggiunse “Ora potete nuovamente scambiarvi i doni e se lo vorrete diventerete più ricchi”. I fratelli scambiarono i doni abbracciandosi l’un l’altro e tenendo stretto ciò che avevano ricevuto. Poi di comune accordo si rivolsero al vecchio dicendo :

“Vogliamo lasciarle questa cesta, questo monile, questa tela perché il dono più grande l’abbiamo ricevuto, ora, lo portiamo nel cuore e non nelle nostre mani.”.

Ed il saggio “Vi porterò nel cuore anche io ,ragazzi , perché io vi ho donato con la parola il bene più grande che ho, gli occhi per vedere”.

I fratelli si allontanarono e fu solo allora che uno di loro , girandosi verso il vecchio per salutarlo con un cenno della mano, notò un bastone bianco appoggiato al tronco , vicino a lui.

Tornarono lentamente a valle senza darsi la mano solo per pudore, perché la voglia di abbracciarsi era tanta, e pregarono, pregarono in silenzio ognuno il proprio Dio , nel fondo del cuore.

E questo forse fu il vero dono del loro padre.

Foto artistiche




Posted by Picasa

Il biplano

IL BIPLANO

In Canada ,paesaggi straordinari, montagne maestose, rivi d’acqua , cascate tanto limpide quanto burrascose, pinete infinite che nascondono tesori naturalistici che non hanno uguali ,e là , tra quei boschi fitti fitti, Steve intravide dal suo biplano un piccolo laghetto incontaminato che sembrava chiamare la sua ricerca di solitudine, di evadere oltre il lecito, di varcare il confine dell’uomo per sprofondare nel segreto della natura. In realtà la sua mente era un po’ confusa, combattuta tra l’esistenza forzata, in quel paesino,dove gestiva il suo negozietto in cui vendeva un po’ di tutto ,e la ricerca di una strada da percorrere con gli occhi dell’animo per portarlo verso l’immenso mondo del mistero ,mondo mai varcato per casualità,per pigrizia o per destino. Viveva in un paesino, se così lo possiamo chiamare, in America ,quell’America vera che vive ogni giorno per sopravvivere, lontano dalle masse che la rendono il paese più avanzato e moderno. Pochi abitanti, ma sulla strada , su quella interminabile strada tra canyon e deserti di terra ,le auto di passaggio erano vitali per i lavoratori del posto. C’era una pensione per le auto di passaggio, c’era il meccanico, il distributore di benzina, il bar ed un decadente ufficio postale, ma il suo negozio ,dove potevi trovare veramente di tutto, ..dagli estintori , al pane, le sigarette, gli alimentari, gli attrezzi per le coltivazioni ..rappresentava il centro del paese.

E poi ,quel vecchio biplano abbandonato era il suo gioiello. Ci aveva lavorato moltissimo per metterlo a posto, c’erano voluti tre anni perché i pezzi non arrivavano,un po’ di fantasia per inventarsi meccanico, ma ora il sogno era realizzato. E quel paesino dove tutti vivevano nel suo negozio, sembrava a volte stargli stretto, confuso tra la voglia di cambiare la sua vita ,cercando uno scopo diverso dalla sopravvivenza ,e la cultura mistica, religiosa che lo avvicinavano alla natura, la curiosità di scoprire quello che c’era dietro le cose, dote rara tra gli uomini duri di quei posti, trasmessa però da un papà che era un predicatore ed una mamma, succube, che lo seguiva in silenzio, con amore, per amore.

Non c’erano più da anni ,ma li sentiva ugualmente vicini e spesso avrebbe voluto confrontarsi con loro per capire dove era la strada che incendia l’animo, così come diceva suo padre, dove fosse la strada della felicità e serenità interiore,come gli suggeriva la mamma. Eh sì, la mamma era stata una donna forte , saggia, silenziosa, era l’esempio dell’amore ed aveva sempre rispettato il papà con tutti i suoi viaggi, anche nei momenti più bui. Steve avrebbe voluto essere come loro, avere la sicurezza ,la forza , la serenità, per affrontare ogni cosa del mondo, trovando una risposta per ogni cosa , in tutto come faceva il suo papà.

Un colpo di vento fece sbandare il suo biplano, d’altronde il motore ogni tanto sembrava voler scappare, e fu un richiamo naturale verso il lago . Virò con semplicità , senza preoccupazioni, quasi il lago lo avesse voluto e planò dolcemente su quelle acque verde scuro, colorate da alghe e dall’immagine capovolta dei pini che lo circondavano. Il silenzio fu rotto dallo scoppiettio del motore che andò a spegnersi lentamente trovando attracco sulla riva del lago. Steve , omone grosso, pizzetto grigio, capelli a spazzola, sollevò lo sportello e alzandosi in piedi sul veivolo ammirò,davanti e dietro di se, come se quel mondo lo avesse rapito. Tornò il silenzio quando le eliche smisero di girare per inerzia e Steve balzò giù dall’abitacolo sprofondando coi piedi in quei pochi centimetri d’acqua. Raggiunse la terra ferma e stette minuti e minuti ad osservare il tutto ed il nulla, a percepire gli odori ,a confondersi nei colori a volte così innaturali come solo la natura sa offrire. Non si può descrivere ciò che videro i suoi occhi perché guardò con gli occhi dell’animo e ogni sensazione non aveva parole che potessero tradurre l’emozione.

Vi era, in una insenatura del lago, un vecchio molo, forse non molto stabile, che si allungava di qualche metro sull’acqua ,ma era coperto dai rami di un albero e Steve non lo notò subito, intento come era ad osservare e a pensare quanti e quali animali vivessero nel fitto della boscaglia, quante vite si nutrissero di bacche , pesci, frutti ..della natura. E mentre rifletteva su queste cose camminava lentamente in riva al lago pensando di essere l’unico compagno di quella natura incontaminata. Poi scostando il ramo davanti a sé, vide il molo , e laggiù sulla punta una piccola figura di schiena ,che sembrava farne parte. Non so se per l’educazione inculcata dai genitori o perché ogni essere umano ne attira un altro o semplicemente per casualità, camminò verso di lui, raggiunse il punto estremo del molo e si sedette accanto.

Il volto dell’uomo era orientale , completamente calvo come un monaco tibetano, uno straccio color sabbia adornava il suo corpo, una corda logora gli faceva da cintura,evidenziando delle forme minute . Era buffo vedere le due schiene accanto ,una grande e grossa e l’altra piccola e minuta.

“ Mi scusi , sa dove siamo? “ – disse Steve – con un piccolo imbarazzo.

“Siamo ovunque, anche senza fermarci” rispose l’orientale

“C..come ? “ domandò stupito per l’insolita risposta Steve.

“ Quell’uccello che sorvola il lago, ora è qui, ora laggiù, vola libero oltre i luoghi, perché lascia tracce del suo passaggio”

Steve sempre più incuriosito domandò: “Ma il tempo determina il fatto che ora è qui e poi in altro luogo.. no? “ Lo disse con voce tremante per capire con chi stava parlando e anche un po’ dubbioso della sua frase. Allora l’uomo girò lo sguardo verso di lui e domandò “Cosa è il tempo? Mi sai rispondere?”

Steve cercò una risposta ma non la seppe tradurre in parole.

L’uomo aggiunse “ Getta una pietra in acqua ed osserva “.

Steve raccolse una pietra e la lanciò in acqua , davanti a sé. Una serie di cerchi concentrici si allargò dal punto in cui sprofondò in acqua quel sasso, fino a formare un disegno sempre più grande e sbiadito col passare del tempo.

“Ecco cosa è il tempo, è il divenire delle cose, è il segreto del cambiamento, è la vita oltre i suoi confini.” aggiunse l’uomo.”Quell’uccello che planava viveva ogni momento mentre questi cerchi disegnavano l’acqua , cambiava e diveniva e questi cerchi, anch’essi cambiavano e si trasformavano”.

Steve ebbe l’impressione di risentire le parole del padre in quel volto orientale ma ,mai, aveva avuto modo di vedere le cose banali sotto questa nuova luce ed una nuova emozione di apprendere e scavare come mai aveva fatto lo pervase.Non si chiese chi era quell’uomo,da dove venisse, voleva continuare a parlare con lui, così come aveva appena fatto.

Pensò in silenzio, a fianco a quell’uomo comparso dal nulla e poi parlò, discretamente :“ Il concetto del tempo è legato a qualcosa di più grande, che muove i fili di tutti noi e davanti al quale io … non so…mio padre diceva che tutto dipende da Lui ma … io credo …non so cosa credere.” aggiunse ancora Steve.

“Getta un sasso in acqua ed osserva “ ripeté l’uomo. Così fece Steve , prese un sasso e lo scagliò davanti a se, come la prima volta. E anche questa volta i cerchi concentrici partiti dal foro nell’acqua disegnarono la cresta del lago fino a spegnersi dolcemente.

“Questi cerchi li sapresti disegnare così perfetti ? Provaci con questo ramo.”

Steve provò a disegnare sulla sabbia bagnata dall’acqua, ma nessun tentativo fu così perfetto come quello del sasso.

“Cosa vuol dire questo?” – chiese ingenuamente.

Un attimo di silenzio e l’uomo rispose con un'altra domanda: “Pensi veramente che questo non faccia parte di un disegno ancora più grande?, chi può fare dei cerchi così perfetti ?”

La domanda dell’uomo fece calare il silenzio su quel molo dove Steve ritrovava le prediche del padre , dove vi era la spiegazione naturale di tante parole ,mai tradotte oltre la fede.

E passando mille pensieri nella mente di Steve, ripensò alla sua gioventù, agli insegnamenti del padre, a quanto a volte il padre fosse stato considerato un uomo fuori dal tempo, e solo ora lo rivedeva in una luce diversa, forse solo ora capiva ,davanti a tanta semplicità. Poi pensò a se , al suo momento di dubbio e rivolgendosi all’uomo disse :

“Ma io credo di non fare molto, credo di non trasmettere nulla di profondo a nessuno, io vivo semplicemente, certo vendo cose necessarie a chi viaggia, ma non tocco il loro animo, non so toccare il loro animo. “ e lo disse col rammarico di chi in fondo,senza essersene mai reso conto, si era sentito inferiore al padre.

“Getta un sasso in acqua ed osserva” ribatté nuovamente l’uomo.

E così fu e nuovamente i cerchi disegnati sul mare fecero attendere in silenzio una risposta desiderata. “Cosa vedi? “ disse l’uomo.

“Vedo dei cerchi , piccoli , grandi, crescere…” rispose Steve aspettando una spiegazione.

“Ogni piccolo cerchio che nasce spinge gli altri secondo un disegno preordinato e li fa crescere, li muta , li influenza” spiegò l’uomo.

“E allora ?” chiese Steve

“Getta quel ramo in acqua e avrai la risposta”

Così fece Steve , il rametto non creò dei cerchi, non sprofondò in acqua, fece un leggero spruzzo e si fece trasportare dalla corrente ,dai cerchi ancora presenti nell’acqua.

“Ogni cosa – disse l’uomo – è disegnata per uno scopo, il sasso per essere un sasso e disegnare l’acqua creando piccole onde che si spingono tra di loro, mentre il piccolo rametto è disegnato per galleggiare e trasportare il movimento sul pelo dell’acqua. Un sasso non può e non deve fare quello che fa il rametto, ma entrambi sono necessari”.

Stava venendo sera e quella frase sembrò illuminare l’animo di Steve che aveva imboccato la strada tanto cercata. Ancora molto doveva camminare, ma ricordò le parole del padre che gli dicevano “Ricorda, ragazzo,la strada per il divenire è là, devi solo imboccare la strada giusta e quando la troverai non sarai arrivato, ma inizierai a camminare nel sole”.

Si alzò, doveva riprendere il biplano, fece pochi passò ma voltandosi indietro pose l’ultima domanda all’uomo “Ma allora è tutto già deciso, tutto è parte di un disegno più grande di noi , noi siamo i colori che adornano questo quadro, ma non lo influenziamo?”.

L’uomo lo guardò , attese un attimo a rispondere , e disse : “Strano…credevo fossi stato tu a lanciare quella pietra!”.

Si girò e continuò a guardare l’acqua.

Foto artistiche




Posted by Picasa

Sul monte Luna

SUL MONTE LUNA

Sul monte Luna , in quel pendio che indicava la vetta , il monastero sembrava toccare il cielo con un dito e disegnare le nuvole, come un dolce pennello accarezza una tela per lasciare segni del suo passaggio. Era abitato da monaci , vivevano per lo più dei prodotti dell’orto, orto che nonostante l’altitudine trovava conforto nelle sapienti mani che lo accudivano, giorno per giorno. La regola era quella della meditazione , meditazione che affiorava nell’isolare il proprio animo a contatto con il cielo stellato, meditazione che fondeva i pensieri con la sensazione provata davanti all’alba innevata delle vette circostanti, meditazione ispirata dalla fredda brezza del mattino a contatto con la pelle del viso, mal celato dal cappuccio del saio sgualcito.

Erano in pochi, ma ogni monaco condivideva con gli altri il pasto intorno a quel lungo tavolo di legno grezzo, al centro del monastero dove allegria , compagnia, serenità facevano banchetto con la fraternità e quel senso mistico che pervadeva ogni animo, nella sua semplicità.

E bevevano col gusto di assaporare un dono del cielo, centellinando ogni prezioso sorso in calici di legno , dove l’antico vino conservato in botti antiche, veniva servito con preziosa parsimonia.

Ogni mese , uno di loro caricava il carro e con due muli scendeva a valle in un lungo e tortuoso viaggio per raggiungere il paesino che del mercato faceva la sua dolce ricchezza , e qui il monaco vendeva i prodotti dell’orto come merce preziosa, regalando il sorriso ai bimbi che lo contornavano, come fossero piccoli doni che allietavano la loro semplice vita. Portava , poi, le ceste intrecciate dagli altri monaci durante il mese e comprava coi pochi soldi ricavati le pelli ,con cui gli stessi monaci avrebbero costruito sandali per poi rivenderli al mercato seguente , e la vita proseguiva così nella letizia di ogni piccolo attimo offerta dai prodotti che solo la terra ed il lavoro poteva offrire. All’interno del monastero, poi, vi era una raccolta di vecchissimi libri che avrebbero fatto la fortuna economica di qualsiasi libraio, ma che arricchiva i monaci di una saggezza senza prezzo, rendendo sempre nuovo il miracolo della conoscenza.

In quel mercato quel giorno, come sempre accadeva, tutti i bimbi erano intorno al carro del monaco, vi era poi l’uomo che vendeva i cavalli, il banchetto della frutta, delle pelli , il banco degli attrezzi per la coltivazione , le stoffe che , variopinte, rendevano caratteristico il mercato stesso con i suoi incantevoli colori. E proprio mentre la vita del mercato si svolgeva nella sua confusa quotidianità, l’urlo di una donna infranse quella convulsa melodia e mentre il volto dei presenti ebbe appena il tempo di girarsi verso l’inconsueto frastuono, quattro uomini del mercato abbandonarono i loro banchetti all’inseguimento di un altro uomo, mossi da quella solidarietà che solo i poveri sanno possedere tra loro. In breve raggiunsero il fuggitivo e lo bloccarono a terra. E mentre il monaco coi bimbi si avvicinava faticosamente a loro , quell’uomo a terra copriva il volto per ripararsi dai calci che ripetutamente gli venivano inferti. Erano poveri, sudavano faticosamente per poter vendere quattro cose al mercato e lealtà ed onestà li contraddistingueva in ogni azione. Ora con inconsueta ferocia si sentivano traditi e sfogavano quella violenza, dettata solamente da instabili condizioni di vita e che rendevano il risveglio ricco di preoccupazione.

La donna urlava “..al ladro..al ladro..” , gli uomini infierivano sul poveretto, poi una voce su tutte fermò per magia quell’azione:

”Basta!!” – urlò il monaco e avvicinandosi a quel corpo a terra scoprì il suo volto. Era un ragazzo, giovane, giovanissimo.

“Mi aiuti , mi vogliono uccidere, io non sono un ladro.. “ urlò disperatamente il ragazzo. Ma la sacca che aveva a fianco tradì le sue parole e la frutta rubata rotolò a terra senza misericordia. E mentre tutte le persone si accalcavano intorno, il monaco disse : “ Sei una persona disperata , neghi l’evidenza , e questo non ti aiuterà !!”

“Ammazzatelo” “Fategliela pagare” “ Torni al suo paese “ si sentiva urlare intorno, con un accanimento preoccupante, ma il monaco tagliò corto con una insospettata decisione e porgendo la mano al ragazzo disse “Ora ti alzerai, prenderai il tuo sacco e lo restituirai alla donna a cui l’hai sottratto, poi ti porterò a curare le ferite” . Così fece il ragazzo intimidito ed impaurito , e solo in un secondo momento con voce tremante aggiunse “ Padre, io non sono ferito, ….me ne posso andare ?”. Ma le persone si accalcavano sempre più intorno a lui e solo la prestanza del monaco che si faceva largo fra la folla trascinandolo per mano lo salvò da una brutta fine. I due si allontanarono insieme dal mercato. Il ragazzo salì sul carro ed il monaco invitò i suoi muli a partire. Nuovamente il ragazzo rivolto al monaco disse:

“Padre, non ho ferite , io ….. non ho bisogno di un dottore.”

“Tu hai molte ferite – aggiunse il monaco con un filo di voce - e non le vedi”.

“C..come? – disse il ragazzo – ..non capisco ma …da questo sentiero non si va da nessun medico, il sentiero porta in alta montagna.”

Il monaco fece un attimo di silenzio e poi insistette –

“ Tu devi bere alla fonte per curare le tue ferite, la medicina di cui hai bisogno risiede in natura ed è portentosa, abbi fede , hai solo bisogno di acqua.”

Il ragazzo si guardò , non vide ferite e rimase perplesso, poi un po’ per soggezione, un po’ per quel mistero che ci fa fare le cose senza un apparente motivo, stette in silenzio ad osservare quel mirabile paesaggio che compariva ai suoi occhi nella lenta e lunga salita verso il monastero. Il silenzio delle parole regnò lungo tutto il viaggio ma gli occhi furtivi del monaco, seduto sul mulo che tirava il carro, sembravano a tratti posarsi sul ragazzo per poi distogliersi subito dopo senza farsi notare. Durò tre ore la lenta ascesa ma al ragazzo non sembrò di essere stato in silenzio tanto a lungo, così che al comparire del monastero, lassù, dove poche cose erano più in alto , uno sguardo misto a stupore regalò al ragazzo un pensiero di sincera ammirazione verso un quadro tanto splendido quanto semplice. Il monaco fece entrare il carro nel monastero e presentò il ragazzo, intimidito, agli altri monaci, insistendo sul fatto che era suo ospite e che doveva essere trattato con ogni riguardo .Così il ragazzo assecondò il curioso ospite seguendo i suoi passi.

Cenarono tutti insieme, assaporando i prodotti che la natura aveva loro donato. Il ragazzo particolarmente affamato, sembrava non aver mai conosciuto una ciotola ricolma, e dopo aver svuotato voracemente la sua, stava per afferrare la seconda ciotola , quella del monaco a fianco che distrattamente si era girato,… ma un fremito lo fermò. Si girò il monaco , lo guardò severamente come mai nessuno aveva osato e dolcemente disse al ragazzo : “Gradisci la mia ciotola? Oggi non ho molta fame, prendila pure..” Ed il ragazzo ebbe timore e frenesia a prenderla come colui che viene scoperto in flagrante ,ma perdonato al tempo stesso. Poi assaggiò la preziosa bevanda presente nel calice davanti al suo piatto e solo allora sentì di voler offrire il suo servizio per riempire i calici di tutti i presenti, in segno di gratitudine, forse non tanto del cibo a lui donato ,ma per la lezione di saggezza impartita, che gli faceva scoprire un mondo un po’ diverso.

Andarono a dormire , ognuno in una cella dove la frugalità regnava, ma rendeva valore al legno, alla pietra, alla luce che la luna sapeva offrire attraverso quella piccola fessura che si affacciava sul mondo.

Si affacciò e vide la luna sopra la vetta più alta e capì perché il monte si chiamasse così.

Stette ad osservare da quel piccolo spiraglio , tutto e niente, scavò dentro di sé assaporando e gustando senza apparente spiegazione i segni che lo avevano illuminato. Poi si addormentò e dormì, dormì a lungo.

Era l’alba e qualcuno bussò alla sua porta. Aprì ancora assonnato ed il monaco entrò portando un caldo the dentro una semplice ciotola. Gliela porse e disse:

“Affrettati ,fra poco è l’alba e le piantine devono bere l’acqua ”.

Il ragazzo assaporò il the , poi con fare claudicante uscì dalla sua cella a cercare il monaco. Lo vide seduto davanti all’orto , davanti al monte Luna , davanti alle stelle che stavano lasciando il posto alle prime luci. Si avvicinò, si sedette accanto a lui e dopo un attimo di silenzio dalla sua bocca uscì una piccola parola solitaria : “…grazie..”.

Il monaco si voltò verso di lui e disse:

“Vedi queste due piantine davanti a te, oggi nel secchio abbiamo poca acqua e tu devi scegliere quale bagnare, ogni pianta deve bere al mattino, ma non c’è abbastanza acqua per dissetarle entrambe” .

Davanti al ragazzo vi erano due piccoli arbusti, il primo alto pochi centimetri sembrava molto assetato e le sue poche foglie erano avvizzite mentre il secondo di qualche centimetro più alto sembrava non patire la sete, così il ragazzo rivolgendosi al monaco disse:

“Io bagnerei la pianta più piccola perché secondo me ha più sete”.

“Sicuramente ha più sete” – rispose il monaco - “ma sei sicuro che abbia più bisogno d’acqua dell’altra?” .

Il ragazzo non seppe proferire parola, sempre più allibito dall’inaspettata domanda del monaco che, dopo un altro attimo di silenzio, aggiunse : “Con un dolce movimento prova a scalzare le piante dalla terra per poi farle risprofondare in essa ed avrai la risposta”.

Il ragazzo scalzò la prima pianta, quella piccola e assetata, ma lunghe radici seguivano il suo stelo , ben ancorato a terra . La seconda più rigogliosa si staccò subito dal terreno perché cortissime radici tradivano la sua giovane età.

“Vedi – disse il monaco – la scelta ora è facile perché qui risiede la differenza tra aver sete ed aver bisogno di acqua”.

Il ragazzo stette in silenzio e bagnò la pianta , solo in apparenza più in salute , poi non disse altro, confuso, stupito, emozionato. Lasciò il monastero, con la consapevolezza d’aver bevuto anche lui l’acqua che guarisce le ferite, ora ne era certo.

Poi sulla soglia del monastero, prima di riprendere la via del ritorno, rivolgendosi al monaco, timidamente , seppe solo proferire sottovoce un piccolo, piccolo, piccolissimo “…grazie.”.

domenica 8 giugno 2008

Foto artistiche




Posted by Picasa

In viaggio con un pescatore

IN VIAGGIO CON UN PESCATORE

Come ogni mattina da quando era in pensione , alle luci dell’alba era solito fare il giro di quel vecchio porticciolo di mare, dove la vita dei pescatori ,lenta , blanda , e piacevolmente faticosa lasciava posto a quella concitata dei turisti e dei bagnanti, che avrebbero da lì a poco popolato la spiaggetta e quel molo. Bato era il nome di quel vecchio che amava respirare il profumo di questo mondo e cercando solitudine amava l’arte di riflettere , di osservare e di ascoltare il lento e dolce sciabordio delle onde contro il molo, di osservare il curioso trenino di papere che sembravano passeggiare sull’acqua in libera uscita, di vedere il via vai delle barche dei pescatori, il rimessaggio delle reti in quelle grosse conche grigie, il comparire e lo scomparire dei gatti tra le barche, quasi ad aspettare un passo falso dei pescatori. D’altronde la vita,ora ,pareva un po’ noiosa,inutile, ma quei pochi momenti del mattino davano un senso all’intera giornata. Amava tutto questo e anche quel mattino si diresse verso la punta del molo, proprio là dove attraccavano le poche barche di pescatori veri ,che erano rimasti forse più per passione del mare che per vantaggio economico o almeno questo era ciò che credeva.

Raggiunse la punta del molo, si sedette ed in silenzio guardò da lontano l’arrivo dell’ultima barca che tutta la notte era stata fuori ,per rendere le sue reti ricche di sostentamento.

La barca con un motore esausto e scoppiettante attraccò lentamente sotto di lui ed il vecchio pescatore con un cenno salutò l’improvvisato spettatore.

Nella barca ,oltre ad un paio di stivali, a due secchi vuoti, ad una canna da pesca c’era sul fondo ormai scolorito dalla salsedine, la rete piena di pesci.

“Come è andata ?” chiese timidamente Bato rivolgendosi al pescatore che stava salendo verso di lui.

“Per chi ? “ rispose il pescatore con quel fare secco e burbero dettato dalla scarsa consuetudine di colloquio.

“Ma ..ma ..per lei,ovviamente.Ha pescato tanto?”

Allora il pescatore rendendosi conto di essere stato esageratamente duro con chi forse ,come lui, cercava una spalla su cui appoggiarsi, si sedette a fianco e senza rispondere alla domanda disse :

“E’ tutta la vita che faccio il pescatore, ero ragazzino che mio padre mi ha insegnato quest’ arte, ora io vivo di questo, e questa è la mia vita”. Sembrava dirlo quasi a giustificarsi,tanto che Bato puntualizzò “Credo sia una cosa molto bella avere un sogno da inseguire,saper fare una cosa oltre l’età, saper respirare l’aria della vita, quella vera, del mare”. Le parole non scalfirono lo sguardo del pescatore che aggiunse “Un sogno non è ciò che sei costretto a fare, un sogno è ciò che in libertà inseguiamo perché lo riteniamo giusto, per amore”.

“Ma pescare è bello!!” seppe aggiungere banalmente Bato,intuendo che per quell’uomo forse le cose stavano diversamente..

“Ha mai provato a pensare cosa ne pensano i pesci , cosa ne pensa ogni singolo pesce che è libero nel mare, si , certo, mi è andata bene, oggi ho pescato tanto” disse con molta tristezza il pescatore.

“Mi sono sempre chiesto cosa è giusto che sia, ma , mai, mai, ho saputo rispondere a questa domanda. Io dò da mangiare ai miei figli ,ma a che prezzo? Ed un domani ci sarò ancora o saremo tutti pesci che cadranno nelle reti di qualcun altro. Cosa potrò lasciare loro, se non una cesta di pesci che ,giorno per giorno, li potrà sfamare ?”.

Bato,allora, capì di avere di fronte un uomo con preoccupazioni tanto banali quanto vere e con una sensibilità vivissima, così senza riflettere rispose : “La natura porta a sopravvivere, senza domande, ogni animale caccia altri animali per portare cibo ai suoi piccoli, e li cresce, li rende liberi, indipendenti e questo è il dono più grande che un genitore possa fare ai propri figli.La natura è meravigliosa e crudele al tempo stesso, non interroghiamola, viviamola e basta”. Bato non aveva figli,non aveva una moglie,ma sapeva trarre la saggezza dei vecchi, ora davanti ad un altro vecchio, forse più bisognoso di lui.

“E’ facile parlare , ma ogni sera prendendo la barca mi chiedo se al mattino porterò qualcosa ai miei piccoli, poi vedo i pesci, i piccoli dei pesci, e tutti i giorni davanti alle mie reti rifletto se è giusto dare e togliere la vita”

Bato lo interruppe - “Vedi quella luce che sorge là all’orizzonte , è là che bisogna credere, è là che devi dirigere la barca , perché nulla è nato dal nulla, la fede è quella che ti fa sorridere sotto il temporale e ti fa piangere al sorgere del sole,tu hai la fortuna di avere una barca,dei figli, vivi il momento senza pensare al domani, ringrazia di vedere la luna tutte le sere, il mondo ti apparirà diverso”.

Il pescatore trovò conforto dalle parole di Bato e quasi in segno di gratitudine tolse il suo vecchio basco che copriva la fronte. “Vedi ,io ho paura di andare verso l’orizzonte, ho paura di non essere capace” - sussurrò timidamente- , quasi a non voler essere sentito.

“Tutti abbiamo paura di viaggiare verso l’orizzonte, ma tu,oggi, mi hai aperto gli occhi perché le parole che ti dicevo erano una medicina anche per me, ho capito che non devo aver paura della monotonia e le tue parole mi hanno insegnato che la vita continua fino alla fine ,tra gioie e dolori. Solo ora so che lottare per sopravvivere rende vivo ciò che naturalmente deve spegnersi solo col corpo e non prima. Verrò a vedere l’alba con un altro spirito,quello di chi vuole viaggiare sempre, aspettando di sentirmi utile ma senza cercarlo disperatamente, perché non sono io che posso fermare il momento,é il momento che aspetta me ”.

Il pescatore capì, capì che l’uomo che lo aiutava stando lì seduto a parlargli ,aveva bisogno , forse come lui, forse più di lui. Capì che la ricerca ossessiva di una tranquillità andava oltre natura, capì che era anche fortunato , capì e accettò. Ora non doveva più interrogare la vita, ma viverla semplicemente.

“Ciò che hai detto è stata una lezione anche per me, una lezione di umiltà ,non sapevo più guardare tra le onde, ed ora la luce della barca è più chiara. Prima ogni piccola onda mi sembrava un ostacolo insormontabile, ora è diverso, punterò la barca in modo da affrontare l’onda, perché così dovrà essere. ” - disse il vecchio pescatore senza perdere quella dignità che lo contraddistingueva nella sua semplicità.

Bato sorrise e stette in silenzio assaporando l’aria del mattino con una nuova piacevole sensazione di benessere.

Il pescatore alzandosi si rivolse a Bato: “Senti.. se ti fa piacere vuoi venire con me a pescare domani, ..vuoi fare un viaggio con me verso l’orizzonte..?”

E Bato con la saggezza di un vecchio pescatore quale non era mai stato, disse :

“Grazie...ma il viaggio con te l’ho già fatto, oggi, verso l’orizzonte”.

Se ne andarono entrambi, più ricchi, entrambi.

Quadri a olio




Il vecchio e il tempo

IL VECCHIO E IL VENTO

Parigi , Montmartre , come ogni mattina la brezza, tipicamente francese, ed i colori autunnali sembravano scandire i secondi di una vita che inizia la sua giornata, lenta, con un movimento di forme e colori che, con inusuale calma, rendeva lucente quest’isola ormai perduta, lontana dalla feroce frenesia dei grandi magazzini, dei manager rampanti tra i grattacieli del centro, delle code di turisti al Louvre, davanti alla Tour Eiffel ,delle file per comprare la grande occasione nei magazzini Lafajette o per fare un giro sulla Senna sul Bateaumouche.

Accompagnati dalla musica di tre violini in piazza , musica che il vento portava con sé, qualcuno già gustava brioches e cappuccino ai tavolini, come rito irrinunciabile del mattino per augurare la buona giornata. Piccole foglie cadute dagli alti alberi adornavano con colori pacati la nascita del mercatino di prodotti tipicamente francesi e non, che rendevano il luogo un paese nel paese.

C’erano le ceste costruite a mano da artigiani, buttate casualmente sopra e sotto il banchetto, c’era poi Francoise che vendeva stoffe provenzali, c’era Martin che vendeva aglio, pane, dolci e tutto ciò che rendeva Parigi unica nel suo genere. C’era il banchetto della frutta, dei fiori, c’era la vita della signora che andava a comprare col suo cestello, che pensava cosa cucinare, come adornare la casa.

Le foglie color rosso scuro , giallo, marroncino, rosso vivo , rendevano l’autunno un quadro di colori che faceva da cornice ai lenti passi degli artisti che posizionavano tele e quadri, in piazza ,dove avrebbero lavorato tutta la giornata,come sempre ,con la calma di chi vive sopra le cose, distaccato dalle cose.

E’ vero , c’era anche chi con una tela bianca aspettava i turisti per fare loro un ritratto, ma per lo più serviva a sbarcare il lunario , perché ognuno di loro creava nel proprio scantinato o nella propria soffitta opere uniche per originalità , semplicità, colori e immagini. Mark era un ragazzo tedesco, arrivato da poco a Parigi per apprendere l’arte dell’architettura, era iscritto all’università e dopo aver visitato musei, palazzi storici e moderni , scopriva ora ,per la prima volta, un mondo meno reale, descritto solo sui libri, dai racconti di chi c’era stato. Un mondo che non aveva regole fisse, che viveva alla giornata con la coscienza ed il piacere di questo.

Così svegliatosi presto , era arrivato in piazza, prima di tutti, e aveva assaporato il mattino come un dolce che rendeva ricchi gli effluvi di un piacere corporeo e mentale. Lui che era una persona razionale provava per la prima volta una sensazione nuova, incontrollabile dalla mente.

In realtà prima di partire per Parigi, un vecchio saggio, gli aveva detto “Vedrai , vai a Montmartre, passeggia tra gli artisti, respira l’aria che ti circonda e scoprirai un mondo nuovo che saprà aprire il tuo cuore. E se avrai fortuna,quando tornerai sarai più ricco” E dicendo questo portava il pugno al cuore.Allora il ragazzo aveva chiesto spiegazioni al vecchio saggio, senza ottenere ,però, alcuna risposta e la scoperta di ciò che voleva dire il vecchio lo aveva portato quella mattina a visitare la piazza,incuriosito da quelle parole. Era un ragazzo molto razionale, intelligente sicuramente, ma poco incline alla fantasia ,curioso al punto giusto ed era sempre stimolato a conoscere, a capire.

E anche se il suo cuore, normalmente, era abituato a soccombere alla mente ,il destino gli aveva riservato qualcosa di diverso, di unico, che lui non poteva presagire. Ma ora poteva solo respirare quella leggera brezza che donava una calma e letizia irreale e con passi lenti, incuriosito ,si aggirava tra gli artisti che esponevano, cercando per timidezza, di nascondere i suoi occhi curiosi e smaniosi di carpire qualche immagine impressa sulle tele. Con il buon gusto e la riservatezza di non invadere il mondo altrui sembrava quasi non volesse mostrare attenzione alle tele stesse.

Passò tra di loro, volgendo lo sguardo ,ora tra i colori degli alberi, ora tra quelli delle tele, poi, d’un tratto la sua attenzione si soffermò su un piccolo omino , un po’ discosto dagli altri, davanti ad un treppiede ed una tela, con un pennello in mano. Aveva il classico basco da pittore, la camicia aperta su una vecchia maglia bianca ,colorata da pennellate non finite sulla tela, pantaloni sbuffanti sulle caviglie, sguardo attento ,saggio e concentrato sulla tela stessa.

Si avvicinò a lui ,vedeva il retro della tela e volle fare il giro per ammirare ciò che faceva questo piccolo artista. Lo stupore fu immenso quando apparve ai suoi occhi una tela completamente bianca, in basso ,a sinistra un piccolo puntino colorato che il pittore stava osservando, con attenzione inusuale ,quasi fosse la tela a parlargli.

“Buongiorno ragazzo” – disse il pittore – senza togliere lo sguardo dalla tela.

“Che cos’è ?” – chiese timidamente Mark

“Hai fatto la domanda sbagliata ,ragazzo, nessuno può dire che cosa è , fammi la domanda giusta, così parleremo la stessa lingua” – rispose il vecchio.

“Come ..come … non saprei” – balbettò Mark con uno stentato francese.

Ora il volto del vecchio incontrò quello del ragazzo ed i suoi occhi profondi, inaspettatamente giovani, sprofondarono con intensa lucidità in quelli timidi del ragazzo. “Cosa senti – ragazzo?” –aggiunse il pittore – “rispondi alla mia domanda”.

“Sento la musica, sento la brezza accarezzarmi il volto, sento il rumore delle foglie sugli alberi…”

rispose il ragazzo.

“Ecco vedi che cominci a capire” – disse il vecchio – “ e ora dimmi quante di quelle cose che mi hai detto puoi afferrare con le mani e vedere con gli occhi?”

“Ma..ma.. nessuna , però io le sento, mi sembra di vederle”.

“Ora hai aperto la mente al tuo cuore, ora parliamo la stessa lingua, cosa è questo puntino sulla tela? E’ quello che vuoi che sia, lascia lavorare i sentimenti, non è altro che brezza, musica , colore, forma”

“La prego , continui, vorrei imparare a capire ” disse la voce del ragazzo, confuso, stupito , come chi prima di entrare in un nuovo mondo, si ferma alcuni attimi sulla soglia, quasi a cercare la forza per esplorare. Ora il vecchio si lasciò andare e continuò con tono pacato ,deciso e coinvolgente.

“Vedi , caro ragazzo, questo piccolo puntino colorato ha un colore,una forma , una dimensione sproporzionata alla tela,ma ti permette di riflettere, osservare, di cercare qualcosa che è diverso per ognuno di noi, esattamente come tu senti il vento, al tatto sulla pelle, oppure il suo rumore che è musica come la melodia dei violini. Il puntino è lì pronto per essere osservato nel suo profondo e quello che vedi tu non lo vede un altro. Il puntino non è arte, è arte trasmettere qualcosa, far percorrere l’animo dai sentimenti. L’arte non può essere una fotografia , precisa. Nessuno può raffigurare un sentimento, l’arte è lo scatenarsi dei sentimenti. Tu vedi positivo ciò che un altro vede negativo. Il vero artista è colui che sa suscitare sensazioni,le più diverse, mai uguali davanti ad un soggetto”.

Il ragazzo ascoltava in silenzio ,stupito ed estasiato da quale animo si nascondesse in quel vecchio e saggio corpo.

“Lo sai qual’e’ la migliore tela ? E’ il cielo, perché un magico pennello,ogni giorno, sa emozionarci sempre. E noi leggiamo la sua tela, oggi, domani…sempre” - aggiunse il vecchio.

“Come ..come l’impressionismo” sussurrò timidamente il ragazzo con fare interrogativo, cercando nella sua mente un riferimento agli studi passati.

“Vedi queste tele , appoggiate in terra al treppiede, nascoste al pubblico, queste sono le mie opere, ma non tutte sanno essere lette , così come il puntino esposto. Bisogna saper leggere con i sentimenti , non con la mente. Vedi , l’impressionismo che studi a scuola non è arte è solo lo strumento per suscitare sensazioni, per vedere non la figura, ma il suo movimento. L’arte nasce se la tela suscita in te qualcosa , un movimento, un cambiamento, se vedi e ascolti ciò che non c’è.”

Sollevò tre di queste tele e apparvero agli occhi del ragazzo immagini straordinarie di sentimenti inespressi, un balletto di sensazioni contrastanti tra loro, la ricerca del proprio io con la coscienza dell’essere.

Ecco cosa vide raffigurato in quelle tele disegnate.

“Maestro , sono confuso , farò tesoro della sua lezione , ora vedo con altri occhi le stesse cose”. Poi quasi appagato e timidamente confuso, salutò il vecchio con un semplice banale cenno e si girò.

Il vecchio chiamò il ragazzo , che stava allontanandosi, e disse “Voglio farti un regalo sperando che tu possa

ricordare ”

Cercò affannosamente nelle sue tasche , poi tirò fuori la mano stringendo un piccolo tondino di metallo grigio e glielo porse in regalo.

“Ma cosa è ?” chiese il ragazzo stupito.

“Dimmelo tu ” rispose il pittore , portando il suo sguardo sulla tela col puntino.

Il ragazzo si girò , mise in tasca l’originale regalo, e assaporando l’ultima brezza andò via ripetendo fra sé e sé:

“Ho imparato la lezione, ho imparato….”.

Quadri a olio




Posted by Picasa

Le ali degli angeli

LE ALI DEGLI ANGELI

Neanche il peggior quartiere di New York era ridotto così male, ma Joffrey sembrava noncurante di questo, quando al calare del sole tornava stanco e frettoloso verso casa ,ed i suoi passi sembravano fare a gara tra di loro. Era uno dei pochi neri del quartiere che aveva trovato lavoro nel ristorante sotto il ponte, ma il suo lavoro consisteva nella pulizia giornaliera del locale , nel portar via sacchi e sacchi di immondizia dalle cucine del locale e poi controllare che tutto fosse a posto e ben chiuso per l’arrivo dei proprietari e del cuoco. Ma non era stanco della vita , si riteneva un fortunato ad avere un lavoro così, perché spesso, lungo il ritorno a casa ,doveva scavalcare barboni assopiti tra l’immondizia degli stretti vicoli ed ogni giorno pensava che il Dio, che tutti pregavano, aveva nel fondo del suo cuore una piccola parte negra ,per avergli permesso di lavorare.

E camminava , camminava, i suoi passi accorciavano la strada, ma girato l’angolo , in fondo a quel vicolo stretto, vide un corpo sdraiato per terra . Nella sua mente passarono mille pensieri perché quei corpi che era abituato a scavalcare non erano così, in quella posizione informe, senza vita.

Si avvicinò a lui, un grosso impermeabile nascondeva ogni forma di quell’uomo mentre un cappello a tese larghe oscurava il suo volto. Notò un leggero movimento e capì che respirava , allora titubante si sedette accanto a lui, senza dire nulla come se non osasse disturbarlo. L’uomo alzò il busto, era un bianco molto vecchio, la sua pelle usurata dal tempo, ma le sue parole uscivano nitide dalla bocca.

“Come ti chiami ?”- chiese il barbone.

”Mi chiamo Joffrey”- rispose incerto –“ e tu chi sei ?”

L’uomo non rispose alla domanda , guardò fisso davanti a sé e poi rivolgendosi a Joffrey disse: “Non stare qui con me, qualcuno vedendoti potrebbe volerti picchiare e quelli, devi sapere, picchiano forte!! Vai finché sei in tempo , non farti vedere qui.”

Joffrey alzò leggermente le spalle e disse: “Io non temo ciò che possono fare gli uomini, ho le spalle forti ,su nel cielo io so che c’è chi mi protegge,non so se è bianco o nero,ma so che c’è , mi ha dato un lavoro ed è sempre con me… Piuttosto cosa posso fare per te?.”

“Fai ciò che il cuore ti comanda e così mi aiuterai…,vedi io non sono quello che pensi,ho un compito molto difficile ed importante, sto cercando un ..angelo!!”

“Un.. un angelo??… di quelli con le ali ??” balbettò stupito Joffrey.

“Gli angeli non hanno le ali, sono persone come te che diventano angeli in certi momenti della loro vita ….” fu la risposta.

“Ma un angelo può essere nero?” chiese Joffrey . La risposta non arrivò perché un gruppo di neri era comparso in fondo al vicolo con bastoni e catene. Il primo sembrava il capo e si avvicinava con fare minaccioso verso di loro, roteando più e più volte una catena.

“Vattene - disse nuovamente il barbone - , qui si mette male,sei ancora in tempo”

“Voglio conquistarmi le ali, quelle ali che non ci sono,… dove stai tu , resto anch’io “ rispose sicuro Joffrey ,pensando di far qualcosa per quel vecchio matto. Ma una luce misteriosa illuminò il vicolo ormai buio e nessuno seppe cosa successe in quel momento. Si alzò il vento ed il tempo passò. Joffrey si risvegliò al mattino, in terra ,in quel vicolo, mentre l’alba si affacciava sulle prime case. Si tirò su da terra, si sentiva tutto rotto, ma non vide più nessuno, a fianco a sé solo il cappello di quell’uomo e nel silenzio del mattino il vento gli sembrò pronunciasse queste parole “Il mio lavoro è finito , buon lavoro a teeee ….”

Si guardò intorno ,si sentiva diverso, il vicolo era pulito, il sole cominciava a splendere e svoltando nella strada principale vide solo sorrisi. Si inginocchiò in mezzo alla strada, noncurante dei passanti, e singhiozzando come un bambino ,rivolse al suo Dio la sua preghiera :

“ Ora ,mio buon Dio ,ho una certezza, so che ci sei e che gli angeli …. possono essere neri”.

1000 vele




Posted by Picasa

Copyright

Creative Commons License
Orme nel cammino by Alessandro Corsi is licensed under a Creative Commons Attribuzione-Non commerciale-Non opere derivate 2.5 Italia License.
Creative Commons License
Foto Artistiche by Alessandro Corsi is licensed under a Creative Commons Attribuzione-Non commerciale-Non opere derivate 2.5 Italia License.