mercoledì 11 giugno 2008

I tre doni

I TRE DONI

In quel paesino fra le montagne della Mongolia, dove la vita procedeva col suo ritmo blando, tre fratelli si ritrovarono per dare l’estremo saluto al padre che tanto aveva fatto per crescerli in modo onorevole, pur distratto dal quotidiano lavoro dei campi , che oggi sapeva regalarti il sostentamento mentre domani ti privava crudelmente dei suoi frutti.

Yong, Bruce e Yale erano i loro nomi , figli molto rispettosi del padre, anche se piccole e comuni gelosie li avevano portati a crescere in fretta ed abbandonare la casa paterna per seguire aneliti di vita solitaria e speranze di fare di più, di dimostrare il proprio valore, di rialzare la testa e abbandonare una vita semplice come quella che il padre aveva loro donato. Vecchie tuniche adornavano il loro corpo, sguardi assenti , provati, caratterizzavano il loro dolore lì , vicino al padre che li lasciava con quella dignità che lo aveva sempre contraddistinto. Un cappello a tese larghe nascondeva il viso di Yong, solcato da dignitose e silenziose lacrime. Le sue mani solcate dalla fatica tradivano la sua semplice condizione di vita, di lavoratore dei campi, così come il padre gli aveva insegnato e aveva voluto. Era stato il più vicino a lui nell’apprendere l’arte della coltivazione, con quel rispetto per ogni cosa che nasce e vive solo nelle anime più povere. Bruce, era invece andato via da casa da troppo tempo per lasciarsi sfuggire qualche lacrima , aveva scelto l’avventura che lo aveva confinato semplicemente nel paesino poco distante, dove costruiva monili d’oro , gli dava forma , colore, sperando di poter ricavare qualche moneta dai pochi passanti casuali. Yale era invece l’artista di famiglia , anch’esso andato via da casa per cercare nell’arte e nella contemplazione quello stato di indipendenza che veleggiava nei primi anni adolescenziali tra le povere case di quel paese. Viveva stentatamente e a volte i pochi quadri che si ostinava a fare non gli bastavano per vivere, costringendolo a lavorare la pelle nella bottega di un vecchio del paese per affrontare in modo dignitoso il rigido inverno.

Erano troppo diversi tra loro e forse il padre stesso , duro negli insegnamenti, ma dolce nell’affetto, aveva saputo solo creare dissapori mai guariti, gelosie cresciute lentamente , attimo per attimo.

Ora erano lì, davanti al padre addormentato, a parlare ognuno col proprio cuore, in silenzio, a rivisitare piccoli angoli bui mai illuminati in passato un po’ per mancanza di tempo , un po’ per quella pigrizia che ci evita dannosamente di affrontare problemi importanti.

Ma ora…ora sì, era tempo di parlare e forse era anche il loro desiderio inconscio perché i tre fratelli provarono, provarono e riprovarono,… ma la loro diversità riaffiorò prorompente. Così come in ogni antica favola decisero di salire la montagna dove un vecchio saggio guariva le persone malate , favola a cui non avevano mai creduto, ma come accade in queste situazioni era maggiore la volontà di ritrovarsi della diffidenza innata verso i fratelli. La montagna fu scalata dai tre , ogni orma seguiva l’altra senza cercare il suo fianco, ma nella lenta ascesa un leggero senso di pacato desiderio di cambiare affiorava sempre più. Come una nave cerca la rotta nei piccoli corridoi lasciati liberi dai ghiacci, i loro passi raggiunsero con fatica la cima. Guardarono intorno per trovare la conferma che la leggenda era solo una piccola favola raccontata ai bambini del luogo. Solo Yong parlava col padre ,ma per gli altri comunque l’idea che lui ci fosse rappresentava un segreto conforto. Ora non era più così , erano soli ed i rimorsi e le perplessità del passato confondevano i loro animi.

Non vedendo alcun essere vivente, stavano ormai per tornare quando sotto un grande albero notarono un vecchio che dormiva profondamente , emettendo un sibilo tanto fastidioso quanto chiaro nella serenità interiore che traspariva inaspettatamente.

I tre si avvicinarono , lo guardarono ma dopo un attimo prevalse la loro incrollabile rassegnazione e diffidenza e si girarono senza dire una parola per ritornare sui loro passi ed intraprendere il lungo viaggio di ritorno.

Il vecchio quando le loro spalle stavano già dileguandosi, aprì un occhio e con voce ferma disse loro: “Ragazzi , posso fare qualcosa per voi?”

I tre, più per lo stupore che per altro, si girarono e Yong rispose :

“Grazie,ma non abbiamo bisogno di nulla…” e proseguì i suoi passi.

Yale con la curiosità che ogni artista ha innata nell’animo, volle, invece, avvicinarsi ,seguito dal silenzioso Bruce e proferì timidamente “Stiamo cercando…il saggio…che vive qui”. Poi come se avesse osato troppo in quella sperata sciocchezza, girò le spalle e fece per raggiungere Yong che si era nel frattempo fermato ad aspettarli. La voce del vecchio ruppe il silenzio - :

“Sono sicuro che ,anche se non credo di essere molto saggio, posso fare qualcosa per voi , fermatevi a riposare e poi quando avrete ritrovato le forze, riprenderete il vostro cammino”.

I tre, che accusavano la fatica, vollero appoggiare le stanche membra vicino al vecchio facendo con la loro presenza un piccolo cerchio e così …parlarono, parlarono di loro , parlarono tra loro, di ciò che cercavano senza sapere cosa fosse , senza conoscere la strada da percorrere.

Alla fine il vecchio , vedendo sopraggiungere minacciose nuvole nere volle interrompere il disteso colloquio: “Ragazzi, io non sono un guaritore, sono solo un povero vecchio , ma voi siete sbandati perché non sapete ciò che state cercando, camminate senza una meta precisa , forse non serve camminare ed io posso fare qualcosa per voi, se lo vorrete”.

“Ci dica, maestro” disse uno dei tre fratelli, chiamandolo così più per rispetto dell’età avanzata che per altro.

“Venite a trovarmi tra una settimana e portatemi tre doni ed io vi potrò guarire “ – specificò il vecchio saggio.

I tre ringraziarono increduli e pur diffidando di lui si diedero comunque appuntamento la settimana seguente su quel monte.

E così fu. Arrivarono sette giorni dopo i tre fratelli e trovarono il saggio sotto l’albero , curiosamente nella stessa posizione confusa tra il riposo e la meditazione.

“Sono contento di vedervi” – disse il vecchio.

“Come mai?” - osò domandare uno di loro quasi seccato di essersi fatto convincere a risalire.

La risposta fu dolce ed immediata “Credo che abbiate fatto i primi passi per trovare la strada che inseguite, se siete qui …”. Ma la frase del vecchio fu interrotta da Yong : “Le abbiamo portato i doni che ci aveva chiesto , maestro, ma spero che dopo ci indichi la strada giusta”.

“Non essere diffidente , ragazzo, la strada dovrai trovarla tu, io ti posso solo aiutare a vedere meglio, il cammino è lungo, i passi sono i tuoi, io ti posso solo imprestare gli occhi”.

I tre posero i doni davanti al maestro, il primo era un grande cesto di frutta che rappresentava gran parte del raccolto di Yong, il secondo un monile dorato , plasmato con paziente maestria dalle esperte mani di Bruce. Infine una tela un po’ sgualcita ma magistralmente colorata dalla vena artistica di Yale.

“Ecco questi sono per lei, maestro, ora ci dica cosa dobbiamo fare” disse uno dei tre.

“Quello che voglio – disse il saggio – è che questi doni ve li scambiate , col cuore”.

Con una inaspettata ubbidienza i tre scambiarono i doni ed ognuno di loro aspettava nuove istruzioni,ma il silenzio si ruppe soltanto quando Yale disse : “.. e ora ?”.

Il saggio li guardò senza rispondere , profondamente, negli occhi. Poi uno di loro seccato per non aver ricevuto istruzioni illuminanti si lamentò del regalo ricevuto. Cosa poteva farsene Yong di un monile d’oro se era sempre chino a lavorare i campi. E Yale cosa poteva farsene di un cesto di frutta e tanto meno Bruce di una tela sgualcita.

Ma nessuno osò lamentarsi col vecchio. I tre lo salutarono ed il vecchio prima che i loro passi riprendessero il cammino per scendere la montagna li avvisò :

“Ragazzi, fate attenzione al percorso, ogni passo deve essere guidato dagli occhi perché qualche sasso potrebbe farvi inciampare così come siete inciampati ora , quassù, sulla vetta. Abbiate la bontà di ritornare e portatemi il bene più prezioso che avete ed io vi donerò la cosa più preziosa che ho” Disse questo, abbassò il capo ed in silenzio meditò.

I tre fratelli , non riuscivano a comprendere ,ma anche questa volta li guidò nelle loro azioni la ricerca dell’ignoto, la speranza, la voglia di trovare… la strada giusta.

Così nuovamente , la settimana seguente, salirono la montagna, ognuno portando con se il dono più prezioso che aveva. Raggiunsero la cima e trovato il vecchio saggio posarono davanti a lui nuovamente una cesta di frutta, un monile d’oro e una vecchia tela sgualcita.

“Vedete ragazzi , ora voi mi avete donato quello che più vi era caro, quello che per voi è fatica, passione, amore ed io porterò nel cuore questi doni perché il loro valore è determinato da chi dona e non da chi riceve.”

Un silenzio irreale costruì in ognuno di loro nascoste fondamenta di una nuova famiglia.

Poi il saggio aggiunse “Ora potete nuovamente scambiarvi i doni e se lo vorrete diventerete più ricchi”. I fratelli scambiarono i doni abbracciandosi l’un l’altro e tenendo stretto ciò che avevano ricevuto. Poi di comune accordo si rivolsero al vecchio dicendo :

“Vogliamo lasciarle questa cesta, questo monile, questa tela perché il dono più grande l’abbiamo ricevuto, ora, lo portiamo nel cuore e non nelle nostre mani.”.

Ed il saggio “Vi porterò nel cuore anche io ,ragazzi , perché io vi ho donato con la parola il bene più grande che ho, gli occhi per vedere”.

I fratelli si allontanarono e fu solo allora che uno di loro , girandosi verso il vecchio per salutarlo con un cenno della mano, notò un bastone bianco appoggiato al tronco , vicino a lui.

Tornarono lentamente a valle senza darsi la mano solo per pudore, perché la voglia di abbracciarsi era tanta, e pregarono, pregarono in silenzio ognuno il proprio Dio , nel fondo del cuore.

E questo forse fu il vero dono del loro padre.

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